martedì 24 febbraio 2009

Lettera a settesere in risposta a comunicato licenziamenti Andrew

Spett. Settesere,

In riferimento alla lettera inviata dai dipendenti Andrew destinati a entrare in mobilità,
voglio esprimere la mia totale solidarietà e vicinanza al personale coinvolto in questa operazione di “ristrutturazione”:
chi scrive è stato dirigente della ricerca e sviluppo e responsabile dello stabilimento in questione fino a poche settimane prima dell’annuncio pubblico delle decisioni dell’azienda, non ha fatto parte del management che ha preso tali decisioni, ed è stato coinvolto al pari del resto del personale negli effetti che tale piano di ristrutturazione comporta.
Ci tengo quindi ad esprimere qualche considerazione in merito a quanto sta accadendo.
Ricordo che la Andrew di Faenza è stata acquisita a fine 2007 dal gruppo Commscope (circa 15000 dipendenti), e Faenza fa parte di una divisione europea che raggruppa diverse aziende per oltre 500 persone, di cui almeno 150 impiegate in ricerca e sviluppo.
Qualunque imprenditore che ha una azienda che produce utile da sempre, che opera in un mercato tra i pochi ad essere in crescita costante (le telecomunicazioni), che ha una forza lavoro mediamente sotto i 40 anni costituita da persone di elevato skill tecnico e culturale, e che è sempre cresciuta negli anni , e poi decide di chiudere una parte di essa compromettendo potenzialmente tutta l’operatività , passerebbe per pazzo furioso.
Se invece l’azienda ha un capitale straniero e il bilancio di questa azienda è consolidato nel gruppo, non si ha più una azienda ma una “location”, e le cose potrebbero seguire logiche diverse. Ad esempio ci potrebbero essere delle raffinate strategie di management per le quali la soppressione di attività comunque complessivamente proficue nella location porterebbe vantaggi al resto del gruppo. Secondo tali strategie magari risulterebbe più conveniente produrre in Germania dove il costo del lavoro è più alto (!). In realtà, secondo un approccio già visto in altre realtà multinazionali, si spezzettano le attività che ruotano attorno al business, separando centri di costo da centri di profitto, e si spostano tali attività secondo opportunità di breve periodo. D’altra parte non si è mai visto una multinazionale radicarsi in un qualunque territorio.
Visto che comunque la Andrew ad oggi conta 49 dipendenti, a valle delle decisioni del management tedesco e americano ci si potrebbe chiedere cosa accadrà ai restanti 31? Quale credibilità può avere l’attuale management , nel momento in cui afferma di voler preservare l’operatività delle restanti parti di Azienda?
Io ho avuto il piacere di lavorare per anni e fino a dicembre scorso con un gruppo di persone eccellenti e in un ambiente ottimo, dove il valore aggiunto è sempre stato dato dal fattore umano, dalla flessibilità, dalla capacità di reagire al mercato, e dalla sinergia tra le varie componenti dell’azienda.
A Faenza si è dovuto prendere atto di scelte Aziendali inconciliabili con la logica, con il business, e anche con la globalizzazione, ma che comunque con la globalizzazione e la congiuntura hanno purtroppo a che fare.
Sarebbe almeno auspicabile che il capitale umano e di competenze rappresentato dal personale Andrew rimanesse coeso e non andasse disperso definitivamente.
Ho l’impressione però che difficilmente il nostro territorio sarà in grado di esprimere concrete opportunità imprenditoriali e acume finanziario tali da rilevare tale realtà, soprattutto in questa congiuntura.
La crisi globale, principalmente finanziaria, rischia di smantellare il tessuto locale fatto di competenze costruite in anni di lavoro. Il capitale straniero non ha evidentemente convenienza a rimanere e reinvestire in Italia. Imprenditori, lavoratori, sindacati ormai sanno cosa significa lasciar entrare capitale straniero nelle nostre aziende: si conoscono i pro e i contro. Purtroppo la attuale crisi lascerà sul terreno parecchie macerie, aumentando il lavoro da fare quando sarà ora di ripartire.